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BUDDHA
 

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«Imparare è cambiare. La strada dell’Illuminazione sta nella via di mezzo, è la linea che sta tra tutti gli opposti estremi».

Il termine Buddha indica, nel contesto religioso e culturale indiano, "colui che si è risvegliato" o "colui che ha raggiunto l'illuminazione".

Il Buddha fu una figura straordinaria; fondò una nuova, grande religione e, ribellandosi agli estremi edonistici, ascetici e spiritualistici della disciplina religiosa coeva e al sistema delle caste, influenzò profondamente lo stesso induismo.

LA STORIA DI SIDDHARTA GAUTAMA | Buddha, discendente della casta dei guerrieri e dei re, prese il nome di Siddharta. Prima della sua nascita, la madre ebbe un sogno premonitore, in cui un elefante bianco le penetrò nel corpo senza alcun dolore e ricevette nel grembo Siddharta, "senza alcuna impurità". Egli fu partorito nel bosco di Lumbini.

Siddharta nacque pienamente cosciente e con un corpo perfetto e luminoso e dopo sette passi pronunciò le seguenti parole:

«Per conseguire l'Illuminazione io sono nato, per il bene degli esseri senzienti; questa è la mia ultima esistenza nel mondo».

Gli astrologi predissero che Siddhârtha non avrebbe regnato ma avrebbe lasciato il regno diventando un rinunciante. La predizione risuonava nelle orecchie del padre Shuddhodana e gli causava ansia mentre osservava il figlio crescere. Il re prese ogni precauzione per evitare che il ragazzo uscisse dal palazzo e si unisse ad altre persone col rischio di esserne influenzato, affinché non vedesse nulla della sofferenza del mondo, evitando così di prendere la strada della rinuncia. Nove giorni dopo la Sua nascita, la madre di Buddha morì. La Sua matrigna, Gautami, si prese cura di Lui; ella Lo accudì con grande Amore e questo è il motivo per cui Buddha è chiamato Gautama. Poiché fu Gautami a crescerLo e nutrirLo, al Buddha venne dato il Nome di Siddharta Gautama.

All’eta di 29 anni circa la mente di Siddharta sprofondò nell’inquietudine, allorché uscì da quelle mura e vide una persona inferma per l’età avanzata, un’altra colpita da una malattia e un’altra morta. Così la Sua mente subì un’improvvisa trasformazione. Una notte mentre la moglie era profondamente addormentata, Egli si alzò, accarezzò il figlioletto e partì per la foresta ove affrontò numerose sofferenze e difficoltà con pazienza e fermezza. Trascorse quasi sei anni nel più rigido ascetismo, nutrendosi  esclusivamente di un solo chicco di riso al giorno e sperimentando varie forme estreme di ascesi  fino quasi a morirne, insieme a cinque discepoli di famiglia brahmanica: i venerabili Añña Kondañña, Bhaddiya, Vappa, Mahànàma e Assaji.

Quivi comprese, infine, l'inutilità delle pratiche ascetiche estreme e dell'auto-macerazione e tornò a una dieta normale in quanto capì che la conoscenza salvifica poteva essere trovata solo nella via di mezzo tra i due opposti, nella meditazione di profonda visione e che questa poteva essere sostenuta solo se il corpo fosse stato in buone condizioni e non spossato dalla fame, sete e sofferenze autoinflitte. Ciò gli costò l'alienazione e la perdita dell'ammirazione dei suoi discepoli, che videro nel suo gesto un segno di debolezza e di conseguenza lo abbandonarono. Così decise di sedersi sotto un albero di fico e meditare incessantemente, finché non giunse alla realizzazione.

Buddha conseguì, con la meditazione, livelli sempre maggiori di consapevolezza: afferrò la conoscenza delle Quattro nobili verità e dell'Ottuplice sentiero e visse a quel punto la Grande Illuminazione, che lo liberò per sempre dal ciclo della reincarnazione.

«A questo mondo, tutto è manifestazione della Divinità: non c’è una seconda entità oltre a Essa. È il Principio Divino a governare il mondo intero».

Avendo realizzato tale Verità, Buddha andò assieme ai Suoi discepoli di villaggio in villaggio per diffonderla e non sentì mai il bisogno di riposarsi. Egli pensava fosse Suo dovere condividere con i Suoi simili questa Conoscenza suprema. Persino Suo padre Shuddodhana si recò da Lui, riconobbe tale Verità e ne subì una trasformazione.

Buddha insegnò che ognuno è dotato dello stesso Principio Divino.

 

Secondo la tradizione, Siddharta Gautama morì a Kusinâgara, in India, a circa ottant'anni, circondato dai suoi discepoli, tra i quali l'affezionato attendente prediletto Ânanda, al quale lasciò le sue ultime disposizioni. Tradizionalmente si riportano le sue ultime parole:

«Handa dâni, bhikkave, âmantayâmi vo: "vayadhammâ sañkhârâ appamâdena sampâdethâ"ti» che significano: 

«Ricordate, oh monaci, queste mie parole: tutte le cose composte sono destinate a disintegrarsi! Dedicatevi con diligenza alla vostra propria salvezza!».

I SUOI INSEGNAMENTI 

Le Quattro nobili Verità

La prima verità enunciata da Buddha dice che tutto nella vita è sofferenza.

La seconda spiega che questa nasce dai desideri insoddisfatti.

La terza, invece, asserisce che la sua fine viene solo con l'eliminazione dei medesimi.

La quarta, infine, espone la via della liberazione, che è la "Via di mezzo", cioè "Il nobile ottuplice sentiero". 

 

La "Via di mezzo"

L'eliminazione del dolore coincide con l'interruzione del flusso continuo di mutamenti: la morte fisica, però, annulla l'individualità ma non l'eternità degli atti compiuti e i loro effetti; quindi, è necessario arrivare a superare anche quest'ultima, attraverso, appunto il nobile ottuplice sentiero, chiamato anche la "Via di mezzo" perché non richiede un'ascesi rigida, tipica invece dello yoga classico, ma più dolce, per così dire mitigata.

 

Il Nobile Ottuplice Sentiero

  1. Retta Visione (SAMMADHITI): bisogna anzitutto vedere chiaramente le cose, occorre trafelare il "velo" dell'Illusione e capire che tutto è transitorio, avendo un principio devono avere anche una fine.
  2. Retta volontà (SAMMASANKAPPA): l'uomo deve decidere fermamente di controllare i suoi desideri e di tagliare il nodo dei suoi attaccamenti alle cose. Senza una forte volontà non otterrà nulla.
  3. Retto linguaggio (SAMMAVACA): le parole devono essere messaggere alate di Verità e d'Amore, non potenti mezzi d'inganno.
  4. Retta azione (SAMAKAMMANTA): tutte le azioni devono essere coerenti con un alto codice etico-morale, non devono causar male ad altri e per quanto possibile non devono offendere alcuna forma di vita. Perciò è necessario eliminare dalla mente ogni movente negativo: odio, invidia, avidità, ira, etc...
  5. Retta vita (SAMMAJIVA): la vita retta sulla via spirituale significa che il lavoro quotidiano deve dare un pò di bene all'umanità, quantomeno non deve far del male ad altri. Bisogna dedicare la propria vita e le proprie azioni all'Altissimo, come un sacramento.
  6. Retto forzo (SAMMAVAYAMA): riducendo i propri conflitti interiori con la comprensione e la concentrazione sulla Meta, si dispone di maggiori energie ed possibile sforzarsi di più per tenersi sulla "Via di mezzo".
  7. Retta Consapevolezza (SAMASATI): si deve essere pienamente consci di ciò che si fa, si dice e si pensa.
  8. Retta Contemplazione  (SAMMASAMADHI): è la meta di tutti i percorsi spirituali. È la liberazione finale, la fusione con il Tutto, La Realizzazione dell'Essere.