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GANDHI - PARTE 2
 

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LA CASTITÀ | Gandhi rinunciò hai rapporti sessuali all'età di 36 anni, diventando totalmente casto sebbene sposato. Fece i voti di brahmacharya, secondo un ideale di consapevolezza e armonia spirituale che prevede, oltre alla castità, purezza delle aspirazioni e dei pensieri, autocontrollo del palato e autodisciplina. Gandhi affermava che l'importanza da lui conferita alla castità non era legata ad un disprezzo per la sessualità, ma, al contrario, ad un rispetto profondo verso il potere generativo dell'atto sessuale: «Dio ha donato all'uomo la benedizione del seme che ha il più alto potere e alla donna quella di un campo più ricco della più ricca terra che si possa trovare in qualsiasi parte del globo. È sicuramente una follia criminale che l'uomo si permetta di mandare sprecato il suo bene più prezioso. Deve custodirlo con cura maggiore di quella che presta alle più ricche perle in suo possesso».

LA POVERTÀ | Sempre nell'ottica del taparigraha, Gandhi cercò di diffondere l'uso dell'abito di stoffa filata e tessuta a mano fatto in casa. Con i suoi sostenitori praticava la tessitura dei propri vestiti usando un filatoio manuale, il charkal. La tessitura fu messa in pratica anche come forma di lotta contro l'impero britannico da cui venivano importati i vestiti di foggia occidentale, prodotti in Inghilterra, causando in India una perdita economica per la loro mancata vendita. In questo modo, inoltre, l'India poteva rendere la propria economia indipendente allargando la produzione interna di beni ad altri settori da quella dell'Impero inglese.

Gandhi andava sempre vestito con l'abito da contadino, il dhoti bianco, che tesseva grazie agli insegnamenti ricevuti dalle donne dell'Ashram di Ahmedabad. La semplice veste bianca in khadi, oltre ai motivi di indipendenza economica, divenne un simbolo della lotta non violenta indiana, tanto da divenire l'uniforme ufficiale del Partito del Congresso Indiano. Essa rappresentava sia la libertà dall'imperialismo inglese sia la purezza della lotta che i satyagrahi conducevano. L'adozione di un unico abito per tutti gli indiani, indipendentemente dalle loro differenze economiche o religiose, andava in aperto contrasto con il sistema delle caste contro il quale si scagliò più volte Gandhi. Era un simbolo di uguaglianza sociale vera e propria: vestendo quell'abito gli indiani avrebbero compiuto una specie di atto di povertà e uguaglianza tra loro, rinunciando agli sfarzi e indirizzandosi ad uno stile di vita semplice e sobrio. Il charka assunse una tale importanza che nel 1947, quando l'India ottenne l'indipendenza, il disegno della ruota dell'arcolaio entrò a far parte della bandiera dell'India - ispirata alla bandiera del Partito del Congresso Indiano.

 

IL VEGETARIANESIMO | Gandhi fu un vegetariano rigoroso - diremmo oggi vegano - e sperimentò, nel corso della sua vita, svariate diete alla ricerca di un'alimentazione sufficiente a soddisfare i fabbisogni corporei in maniera da esercitare la minore violenza possibile sulla natura. Il grande rispetto di Gandhi per gli animali è essenzialmente dovuto alla convinzione che uomini e animali siano allo stesso modo creature di Dio sensibili alla gioia e al dolore e che il progresso morale dell'uomo consista perciò nell'amare e nel tutelare le altre creature. Egli disse: «La grandezza di una nazione e il suo progresso morale possono essere valutati dal modo in cui vengono trattati i suoi animali».

Gandhi espresse anche, per questi motivi, una severa condanna della vivisezione, paragonandola per la sua smania di onnipotenza senza scrupoli alla magia nera: «il mio amore per la cura naturale e i sistemi indigeni non mi rende cieco ai progressi compiuti dalla medicina occidentale, malgrado l'abbia stigmatizzata come magia nera. Ho usato quella dura espressione e non la ritiro perché essa ha contemplato la vivisezione e tutto l'orrore connesso, perché non si ferma davanti a nessuna pratica, per quanto maligna possa essere, pur di prolungare la vita del corpo e perché ignora l'anima immortale che risiede nel corpo».

IL DIGIUNO | Gandhi praticò spesso dei lunghi periodi di digiuno, che poneva essenzialmente nell'ambito spirituale come un mezzo per distaccarsi sempre più dalla realtà terrena del corpo, analogamente alla castità e alla semplicità di vita. Infatti egli credeva che il digiuno, ma più in generale il controllo nell'assunzione di cibo, portasse all'aumento del controllo dei sensi, indispensabile per un ascesi spirituale. Il digiuno era anche utilizzato come un'arma politica. Come tale era anche inserito tra i mezzi che il rivoluzionario non-violento poteva utilizzare per portare avanti la sua causa.

LA NON VIOLENZA (AHIMSA) 

«La nonviolenza è il primo articolo della mia fede. É anche l'ultimo articolo del mio credo».

«Se l'amore e la non violenza non sono la legge del nostro essere, tutta la mia argomentazione cade a pezzi».

L'ahimsa è amore verso il prossimo, sentimento disinteressato di fare il bene degli altri, anche a costo di sacrifici personali; secondo Gandhi tutti gli esseri viventi, in quanto creature di Dio, sono legati tra loro e devono essere uniti da amore fraterno.

Seguendo l'insegnamento di Cristo "Ama il prossimo tuo come te stesso", Gandhi predica l'amicizia fraterna tra tutti gli esseri umani, musulmani e indú, uomini e donne, paria e brahmini, in nome dell'amore e dell'uguaglianza:

«lo e te siamo una sola cosa: non posso farti male senza ferirmi».

Ognuno deve essere disposto anche a morire per l'altro, a lottare per le ingiustizie fino in fondo, purché la verità e la giustizia trionfino.

Secondo Gandhi la giustizia risiede nella riduzione del tasso di violenza presente nella società. Se si utilizza la violenza, anche se per un breve periodo, per ottenere giustizia questa porta inevitabilmente a un aumento del tasso di violenza. Il mezzo deve essere coerente con il fine; non si può adottare un mezzo che porta alla negazione del fine. Se il fine della lotta per la giustizia è la ahimsa, cioè la negazione della violenza nei rapporti umani, non lo si può realizzare facendo ricorso alla violenza.

A questo proposito, rivolgendosi ai bolscevichi, Gandhi scrisse: «lo non credo nelle vittorie ottenute in fretta, con la violenza. Gli amici bolscevichi che guardano con interesse al mio insegnamento, devono comprendere che per quanto possa condividere e ammirare le aspirazioni e i sentimenti nobili, io sono inflessibilmente contrario ai metodi violenti, anche quando vengono posti al servizio della causa più nobile. [...] L’esperienza infatti mi insegna che dalla falsità e dalla violenza non possono scaturire risultati positivi duraturi»

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